Federcomated

, Dicembre 2010

Una voce fuori dal coro

Marco Cossa, presidente Ascomed Torino, si fa portavoce del malcontento delle imprese della distribuzione nei confronti di una situazione che, senza particolari prospettive di miglioramento nel breve periodo, continua ad aggravarsi a causa di norme inique e vessatorie.

«Purtroppo c’è solo l’imbarazzo della scelta! Cominciamo da quei piccoli provvedimenti che, con le loro procedure burocratiche, appesantiscono le attività aziendali. Le disposizioni per il ritiro e lo smaltimento degli elettroutensili professionali (decreto Legislativo. 151 del 25/07/2005 sui rifi uti di apparecchiature elettriche ed elettroniche) permette una migliore gestione ambientale degli stessi: per le nostre aziende la sola raccolta non costituisce un problema concreto.
Purtroppo abbiamo anche l’obbligo di tenere un registro di carico e scarico di questi elettroutensili e, in più, dobbiamo trasportare questi rifi uti a nostre spese nei punti di raccolta. Questi sono costi concreti per le imprese della distribuzione, che già pagano lautamente i Comuni perché provvedano al corretto trattamento dei rifi uti».

Un secondo caso è quello relativo alla tracciabilità dei pagamenti, che ha l’obiettivo di ridurre le infi ltrazioni mafi ose negli appalti pubblici attraverso i subappalti (Legge 136 del 13/08/2010, Marco Cossa presidente di Ascomed Torino. già in vigore per i contratti stipulati dopo lo scorso 7 settembre).

«In sintesi, la norma impone che nei documenti di trasporto dei prodotti che saranno impiegati in un appalto pubblico siano indicati la targa dell’automezzo e il nome del suo proprietario.
Il provvedimento è giusto ma il problema è la sua applicabilità. Per introdurre questi dati nei documenti i distributori dovranno aggiornare i propri software, con costi a nostro totale carico, e i nostri dipendenti dovranno dedicare altro tempo al disbrigo di mansioni burocratiche.
Inoltre, poiché da tempo non è più obbligatorio indicare la destinazione del mezzo, come farà il distributore a individuare quali dei prodotti saranno effettivamente impiegati in un appalto pubblico e quali in altri lavori? In pratica, i costi di una serie di controlli che dovrebbero essere effettuati dagli organi preposti sono stati scaricati sugli operatori del settore, che rischiano anche pesanti sanzioni se non adempiranno alle nuove disposizioni». In questo periodo il problema principale delle aziende consiste nell’accesso al credito.

«È così, ma il nostro governo - che aveva promesso di ridurre le imposte - non ha perso l’occasione per prelevare soldi veri dalle tasche degli imprenditori, utilizzando le banche come esattore.
È quello che sta succedendo con il prelievo forzoso del 10 per cento sui bonifi ci obbligatori per ottenere gli sgravi fi scali a seguito di lavori di ristrutturazione o di riqualifi cazione energetica degli edifi ci (decreto Legislativo 78/2010 convertito in Legge 122 del 30/07/2010; Risoluzione Agenzia delle Entrate numero 65 del 30/06/2010; Circolare Agenzia delle Entrate numero 40/ del 28/07/2010).
Nei fatti, lo Stato chiede agli imprenditori un’anticipazione sul fatturato prelevata dai relativi bonifi ci, perciò entro 30 giorni dall’emissione delle fatture, promettendo di restituire la somma sotto forma di credito d’imposta: ma questo potrà valere solo per le imprese che otterranno utili in questo periodo di crisi economica. In pratica viene prelevata una cifra pari se non superiore al reddito operativo delle aziende, le quali hanno invece bisogno di liquidità e non di un ulteriore balzello, mascherato da provvedimento per combattere evasione ed elusione fi scale da parte dei soggetti che eseguono i lavori.
Inoltre c’è il rischio di un ritorno al mercato sommerso perché le imprese non strutturate vengono nuovamente spinte a premere sul committente per lavorare in nero». In questa già diffi cile situazione si profi la all’orizzonte il nuovo accordo cosiddetto “Basilea 3”, che sarà applicato progressivamente dal 2013 al 2019.

«In Italia il mercato dell’edilizia è in gran parte composto da piccole e piccolissime imprese non strutturate, che non hanno la possibilità di ottenere fi nanziamenti dalle banche poiché non rientrano nei parametri previsti dagli accordi fi nanziari internazionali.
Questo spiega perché, durante la crisi fi nanziaria del 2009, gli insoluti dei distributori sono passati in media da pochi punti percentuali a oltre un terzo del fatturato: in pratica, il rischio d’impresa delle banche è stato trasferito ai distributori. Il sistema bancario italiano ha retto meglio di altri la congiuntura dei mercati fi nanziari, ma i nostri istituti di credito sono sottocapitalizzati rispetto a quelli degli altri Paesi e dovranno aumentare di molto il loro margine, per accrescere la capitalizzazione e rientrare nei parametri previsti, cercando questi capitali sul mercato.
In questa prospettiva ottenere credito dalle banche sarà sempre più diffi cile: questo fatto segnerà il declino del commercio all’ingrosso mentre la grande distribuzione, che può fare affi damento sul credito al consumo, sarà sempre più egemone».