Non c'è spazio per i furbi
Io credo che ci siano molti modi per rovinare il mercato, ma questo momento di importante recessione sta davvero stimolando la creatività un po’ di tutti gli operatori del settore. Il problema è che basta davvero poco per mandare a gambe all’aria anni di lavoro, di relazione costruttiva, di programmi, di intenti, di discussioni, di incontri, di convegni, e così via. Basta un periodo di incertezza, tra l’altro non particolarmente legata al nostro settore e alle sue prospettive, ma piuttosto strettamente degenerata nella più che discutibile politica delle banche, perché tutto vada a rotoli.
Improvvisamente, tutti abbiamo scoperto il fascino del “contante”, ce ne siamo (finalmente) innamorati e, per lui, siamo disposti a tutto. Da una parte ci sono i nostri fornitori che, obiettivamente, hanno gravi difficoltà a incassare anche dai noi distributori, anche da coloro i quali non hanno mai e poi mai ritardato un pagamento. Dall’altra ci siamo noi rivenditori che per recuperare i nostri crediti faremmo qualsiasi cosa (e la facciamo).
Poi ci sarebbero anche le imprese, i nostri clienti: c’è chi è realmente in difficoltà, così come chi ne approfitta ma, sempre obiettivamente, l’accesso al credito è diventato un privilegio per pochi e tra un po’ in banca si entrerà solo pagando il biglietto. Morale, cerchiamo tutti di portare a casa il portabile, subito, anche pochi alla volta, quello che c’è.
L’obiettivo, per tutti, è racimolare liquidità. In contrasto con questo atteggiamento, che somiglia più a un impellente bisogno piuttosto che a una virtù che avremmo anche potuto praticare negli ultimi dieci anni di crescita, assistiamo al fenomeno della richiesta di dilazione degli stessi pagamenti. Il rosario delle lamentele in questo senso si moltiplica ogni giorno in modo esponenziale, anche se suona un po’ come una dilazione del problema che, prima o poi, si dovrà affrontare, e sarebbe meglio se avvenisse il prima possibile.
Ma non sono solo questi i problemi, peraltro figli di una oggettiva congiuntura negativa. Esistono infatti situazioni che a mio avviso sono ancora più gravi, perché riguardano direttamente il nostro mercato, che mi sembra in evidente crisi di personalità, sia da parte dei miei colleghi, sia da parte dei produttori.
Alcuni miei colleghi dimenticano che, soprattutto durante le crisi, l’importanza di collaborare, di aiutarci l’un l’altro dovrebbe essere un valore primario. Quello che in realtà succede è l’esatto contrario. Regolarizzare il mercato, contribuire a incanalarlo in una direzione utile a tutti, ovvero sollecitando la trasparenza, favorendo il trasferimento di informazioni fra noi, segnalando problemi e anomalie, dovrebbe essere un bisogno condiviso. Ma forse siamo ancora troppo piccoli, non capiamo che siamo tutti sulla stessa barca, e ognuno si diverte a minarne la solidità, mentre il mare è decisamente molto mosso.
Gli amici produttori, e l’atteggiamento mi sembra alquanto miope, non perdono occasione per piazzare, ovunque e comunque, il loro materiale, anche presso strutture distributive che non hanno una storia, una affidabilità riconosciuta, uno straccio di organizzazione. L’importante è vendere, non importa a chi, non importa a che prezzo. Non importa, soprattutto, se in quel territorio sono presenti realtà distributive che con quel produttore hanno saputo costruire un mercato, investendo risorse e tempo, favorendo la formazione tecnica su quel prodotto nel territorio, promuovendolo e, più in generale, collaborando da veri partner con quel produttore. Io credo che, in entrambi i casi, quello che manchi sia un certo tipo di etica imprenditoriale.
Un valore che facciamo fatica a scegliere come propedeutico alla ripresa. Abbiamo la possibilità di fare qualcosa, insieme, per migliorare la qualità, l’immagine del nostro mercato – un miglioramento che porterebbe a tutti solo vantaggi – e per non so proprio quale motivo proviamo gusto a mettere in difficoltà un collega non attraverso una politica o una strategia commerciale vincente, ma con mezzucci che appartengono a un’idea di commercio e di rapporti che esiste ormai solo da noi.
C’è la possibilità, a volte mi sembra di poterla addirittura toccare tanto è realistica, e proprio in questo momento di flessione, di far emergere il valore di un modo nuovo di collaborare fra industria e distribuzione e distributore e distributore, e lo facciamo affogare solo per una fornitura in più a qualche emerito improvvisatore che, in un attimo, ottiene tutti i benefici che tante aziende si sono guadagnate negli anni, attraverso, come scrivevo più sopra, un impegno costante e reale, attraverso comportamenti razionali, corretti, anche intelligenti.
Tutto tempo e lavoro sprecato? Forse sì, visti i risultati. Ma forse no, in un processo di crescita globale della cultura d’impresa nel quale continuo a credere e che per sostenere il quale sarò chiamato a fare delle scelte anche drastiche, così come le dovranno fare molti colleghi, in ogni parte d’Italia. Il nostro mercato, il nostro settore, non ha più spazi da regalare ai furbi. Va bene che c’è la crisi, ma la serietà non costa niente. E vale molto.
ing. P. Beneggi (Presidente Sercomated)
Improvvisamente, tutti abbiamo scoperto il fascino del “contante”, ce ne siamo (finalmente) innamorati e, per lui, siamo disposti a tutto. Da una parte ci sono i nostri fornitori che, obiettivamente, hanno gravi difficoltà a incassare anche dai noi distributori, anche da coloro i quali non hanno mai e poi mai ritardato un pagamento. Dall’altra ci siamo noi rivenditori che per recuperare i nostri crediti faremmo qualsiasi cosa (e la facciamo).
Poi ci sarebbero anche le imprese, i nostri clienti: c’è chi è realmente in difficoltà, così come chi ne approfitta ma, sempre obiettivamente, l’accesso al credito è diventato un privilegio per pochi e tra un po’ in banca si entrerà solo pagando il biglietto. Morale, cerchiamo tutti di portare a casa il portabile, subito, anche pochi alla volta, quello che c’è.
L’obiettivo, per tutti, è racimolare liquidità. In contrasto con questo atteggiamento, che somiglia più a un impellente bisogno piuttosto che a una virtù che avremmo anche potuto praticare negli ultimi dieci anni di crescita, assistiamo al fenomeno della richiesta di dilazione degli stessi pagamenti. Il rosario delle lamentele in questo senso si moltiplica ogni giorno in modo esponenziale, anche se suona un po’ come una dilazione del problema che, prima o poi, si dovrà affrontare, e sarebbe meglio se avvenisse il prima possibile.
Ma non sono solo questi i problemi, peraltro figli di una oggettiva congiuntura negativa. Esistono infatti situazioni che a mio avviso sono ancora più gravi, perché riguardano direttamente il nostro mercato, che mi sembra in evidente crisi di personalità, sia da parte dei miei colleghi, sia da parte dei produttori.
Alcuni miei colleghi dimenticano che, soprattutto durante le crisi, l’importanza di collaborare, di aiutarci l’un l’altro dovrebbe essere un valore primario. Quello che in realtà succede è l’esatto contrario. Regolarizzare il mercato, contribuire a incanalarlo in una direzione utile a tutti, ovvero sollecitando la trasparenza, favorendo il trasferimento di informazioni fra noi, segnalando problemi e anomalie, dovrebbe essere un bisogno condiviso. Ma forse siamo ancora troppo piccoli, non capiamo che siamo tutti sulla stessa barca, e ognuno si diverte a minarne la solidità, mentre il mare è decisamente molto mosso.
Gli amici produttori, e l’atteggiamento mi sembra alquanto miope, non perdono occasione per piazzare, ovunque e comunque, il loro materiale, anche presso strutture distributive che non hanno una storia, una affidabilità riconosciuta, uno straccio di organizzazione. L’importante è vendere, non importa a chi, non importa a che prezzo. Non importa, soprattutto, se in quel territorio sono presenti realtà distributive che con quel produttore hanno saputo costruire un mercato, investendo risorse e tempo, favorendo la formazione tecnica su quel prodotto nel territorio, promuovendolo e, più in generale, collaborando da veri partner con quel produttore. Io credo che, in entrambi i casi, quello che manchi sia un certo tipo di etica imprenditoriale.
Un valore che facciamo fatica a scegliere come propedeutico alla ripresa. Abbiamo la possibilità di fare qualcosa, insieme, per migliorare la qualità, l’immagine del nostro mercato – un miglioramento che porterebbe a tutti solo vantaggi – e per non so proprio quale motivo proviamo gusto a mettere in difficoltà un collega non attraverso una politica o una strategia commerciale vincente, ma con mezzucci che appartengono a un’idea di commercio e di rapporti che esiste ormai solo da noi.
C’è la possibilità, a volte mi sembra di poterla addirittura toccare tanto è realistica, e proprio in questo momento di flessione, di far emergere il valore di un modo nuovo di collaborare fra industria e distribuzione e distributore e distributore, e lo facciamo affogare solo per una fornitura in più a qualche emerito improvvisatore che, in un attimo, ottiene tutti i benefici che tante aziende si sono guadagnate negli anni, attraverso, come scrivevo più sopra, un impegno costante e reale, attraverso comportamenti razionali, corretti, anche intelligenti.
Tutto tempo e lavoro sprecato? Forse sì, visti i risultati. Ma forse no, in un processo di crescita globale della cultura d’impresa nel quale continuo a credere e che per sostenere il quale sarò chiamato a fare delle scelte anche drastiche, così come le dovranno fare molti colleghi, in ogni parte d’Italia. Il nostro mercato, il nostro settore, non ha più spazi da regalare ai furbi. Va bene che c’è la crisi, ma la serietà non costa niente. E vale molto.
ing. P. Beneggi (Presidente Sercomated)